Renato Mambor
Atto Unico
dal 20\12\2013 al 9 \3\ 2014
MACRO
Roma
"Attratto dalla moltiplicabilità anonima dell'immagine, Mambor arriva alle "campionature" di uomini "statistici", avendo ridotto la matrice delle figure a timbro, per poi giungere ad illustrazioni di azioni e verbi elementari (camminare, abbracciare, asciugarsi, chiudere la porta) con conseguente riappropriazione del loro significato, dove è l'arte a produrre un rinnovato ed innocente apprendimento elementare, ma attraverso un'esibita neutralità esecutiva che discende dal rifiuto di considerare l'artista come un individuo privilegiato nella società".
Renato Mambor e la sua arte sono l'emblema dell'unione perfetta di fantasia e passione. Le sue opere si pongono al confine di molte e variegate forme artistiche espressive.
È attraverso la sperimentazione che l'autore riesce a rappresentare linguaggi diversi e creare un rapporto unico tra oggetto e soggetto. Proprio grazie all’abbandono ed esclusione dell'elemento pittorico in sé, apre un rapporto tra parole, immagini, cose e persone.
L’esposizione, "Atto unico", a cura di Benedetta Carpi De Resmini rientra nel programma rivolto ai “maestri del contemporaneo” – artisti della seconda metà del XX secolo – che il MAXXI ha sviluppato negli ultimi mesi.
Renato Mambor è tra i protagonisti del filone creativo sviluppatosi negli anni Sessanta in ambito romano e passato alla storia come Scuola di Piazza del Popolo. Un movimento che si distingue per una ricerca iconica e oggettuale che tende a scardinare codici linguistici precostituiti. La mostra si concentra sul periodo che va dal 1969 al 1989 e vuole essere una riflessione sul tema dello sconfinamento tra arte e vita, che l’artista ricerca nel teatro, trasformando il suo fare arte in un laboratorio permanente.
Oltre trenta opere in mostra dedicate al teatro, alcune concepite da Mambor come veri e propri rebus, grandi cartoni in cui, dietro a un particolare, si nasconde un piccolo enigma da decifrare.
L’intero percorso espositivo, prendendo avvio dalle Azioni fotografate (1966-1970), ruota attorno a Trousse (1975), una scultura concepita come un dispositivo per evidenziare e ospitare un oggetto, o un individuo, consentendo di esplicitarne la realtà ad esso legata: il parallelepipedo metallico diventa una cornice che inquadra, cristallizza porzioni di vita per creare nuove relazioni di senso.
Come spiega lo stesso artista: “Il nome trousse l’ho preso dall’astuccio degli strumenti, proprio per indicare la caratteristica di quest’indagine all’interno di un individuo, attuata nel contesto di un’assistenza corale, attraverso una metodologia collettiva. Trousse è uno spazio fisico diventato mentale con soglie fluide per il passaggio dall’interno dell’individuo all’esterno del palcoscenico e viceversa.”
Dall’esperimento del parallelepipedo prende avvio l’esperienza del teatro, inizialmente con una compagnia teatrale che prenderà il nome di Gruppo Trousse, successivamente con sperimentazioni differenti, sempre comunque seguendo il filo dell’analisi linguistica, in cui la forma oggettiva statica è sempre in rapporto con i processi formativi della visione.
Fabiana Traversi

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