venerdì 25 ottobre 2013

“Il berretto a sonagli”


“Il berretto a sonagli”
di Luigi Pirandello

con Pino Caruso
regia Francesco Bellomo
dall’8 al 20 ottobre

Teatro Piccolo Eliseo, Roma


L’arguzia pirandelliana di un testo come “Il berretto a sonagli” s’incontra con lo stile recitativo di Pino Caruso, tagliente, sempre al confine tra la risata e la malinconia. 

Lo spettacolo in cartellone al Teatro Piccolo Eliseo di Roma, “Il berretto a sonagli”, nasce da una commedia in due atti di Luigi Pirandello, scritta nel 1916, ma ambientata circa negli anni ’50 nella versione dell’attore Pino Caruso e del regista Francesco Bellomo.

L’opera nacque all’inizio in dialetto siciliano, ma fu riadattata poi in italiano dallo stesso Pirandello, diventando così un punto di riferimento per il teatro nazionale dell’epoca. Ne fu addirittura costruita una versione in napoletano da Eduardo De Filippo, dietro consiglio dell’autore stesso. Pino Caruso riprende il testo originale della commedia, che risulta però priva di passaggi in dialetto siciliano ostici per lo spettatore.

La vicenda ruota attorno al tradimento del marito di Beatrice Fiorica, una donna aristocratica e volitiva, che vorrebbe denunciarlo dopo averlo colto in flagrante. Coinvolge così più o meno consapevolmente il fratello Fifì e la madre, la domestica Fana, la cartomante Saracena che le consiglia di sbugiardare il marito, il commissario Spanò, ma soprattutto il Ciampa, sposo di Nina, la donna con cui il Cavalier Fiorica tradisce Beatrice. Nonostante la scenografia sia fissa, la storia si muove con vivacità tramite discorsi sagaci e grazie all’intelligenza di molti personaggi, tutti più o meno resi in maniera soddisfacente dagli attori.

Se la recitazione di Pino Caruso si rivela impeccabile e quindi il personaggio del Ciampa molto ben delineato, ci sono momenti in cui la resa di personaggi come Fifì, sarcastico e ‘piacione’, o Nina, indifesa in apparenza, appare un po’ più forzata, anche per la poca dimestichezza degli attori con il dialetto e la calata siciliana.

Tutti i personaggi sul palco però si muovono coralmente, non trascurano mai sguardi o gesti che potrebbero acuire il divertimento gustoso di molte scene. Notevoli sono le prove recitative degli interpreti di ruoli secondari: dalla Saracena, una spigliata napoletana con la lingua lunga, al commissario Spanò, un inetto al servizio del perbenismo, ma schiavo del fascino femminile al punto da rinnegarlo. La vicenda si impernia però su un fulcro: la scontro verbale, di idee, tra Beatrice e il Ciampa. La donna vorrebbe scardinare la patina di rispettabilità borghese che si cela dietro la società in cui vive, dove esiste ancora il delitto d’onore ma la donna non può e soprattutto non deve ribellarsi a un destino d’infelicità coniugale, solo per questione di forma. Beatrice vuole invece rompere le convenzioni smascherando il tradimento del marito, ma deve scontrarsi con l’arguzia, a tratti malinconica, del Ciampa. L’uomo lavora per Beatrice, è sposato ad una donna più giovane, Nina, e per amore di lei farebbe di tutto, anche rinchiuderla in casa per sottrarla a sguardi indiscreti. Non sa di essere tradito o finge di non saperlo, per cui quando Nina e il Cavaliere vengono arrestati dopo essere stati sorpresi, il Ciampa è costretto a sfoderare le sue armi dialettiche per non essere etichettato per sempre come ‘becco’ e per non perdere una donna che considera di sua proprietà.

Il discorso delle ‘tre corde’ elaborato da Pirandello e messo in bocca al Ciampa è la sintesi perfetta del senso tragicomico de “Il berretto a sonagli”: siamo tutti dotati di tre corde nella nostra testa, la seria, la civile e la pazza, ma è soprattutto quella civile che ci impedisce di dare sfogo ai nostri istinti e di convivere con tutti senza problemi. Il Ciampa sceglie di girare questa corda per mantenere intatto il proprio onore, mentre cerca di stuzzicare la corda pazza di Beatrice, cui allude proprio l’oggetto del titolo dell’opera, il berretto a sonagli, simbolo della follia. L’uomo è disposto a condividere la propria donna con un altro, purché il suo prestigio sociale rimanga intatto; per questo il personaggio è ricco di sfumature, perché vira dall’ironico al drammatico nel giro di pochi minuti, senza mai rinunciare alla sua arma principale: una razionalità pungente. La follia non gli appartiene perché rende deboli e a causa di essa infatti, anche un piano ben congegnato come quello di Beatrice va a sfumare.

Lo spettacolo scorre tra tante risate e un pizzico di amarezza finale, per la consapevolezza di aver assistito più a una tragedia che a una commedia. Si risollevano gli animi però con un discorso finale di Pino Caruso che spiega il perché della scelta di questo testo pirandelliano, alludendo nel contempo all’importanza di coltivare la cultura tramite il teatro e la condivisione con amici e parenti di esperienza teatrali valide, in cui “Il berretto a sonagli” si può di sicuro annoverare. 

“Viviamo in un paese in cui un nostro ministro ha detto che con la cultura non si mangia...se è per questo nemmeno l’aria si mangia, ma senza moriamo”.
Irene Armaro


dall’8 al 20 ottobre
Teatro Piccolo Eliseo, via Nazionale, 183 – 00184 Roma
Tel: 0648872222 – 064882114
Info: http://www.teatroeliseo.it/; info@teatroeliseo.it

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