Al Teatro India dal 6 al 18 marzo
l’imperdibile acclamato
allestimento de
L’avaro di Molière
nella traduzione di Cesare Garboli
con la regia di Arturo Cirillo che ne è anche interprete insieme a
Monica Piseddu, Luciano Saltarelli, Antonella Romano,
Salvatore Caruso, Sabrina Scuccimarra, Vincenzo Nemolato, Rosario Giglio
Un cast straordinario al servizio di un impeccabile, godibile gioco teatrale
Una produzione Teatro Stabile di Napoli, Teatro Stabile delle Marche
Da martedì 6 a domenica 18 marzo al Teatro India debutta lo spettacolo L'avaro di Molière, diretto e interpretato da Arturo Cirillo, nella traduzione di Cesare Garboli, che indaga il lato noir della commedia. Ecco quindi Arpagone, vecchio, vecchissimo, depauperato da ogni orpello, vestito di nero, coi capelli bianchi ed arruffati di un barbone, rinsecchito dalla sua avarizia che lo porta a ripiegarsi, anche fisicamente, su se stesso. Un'avarizia la sua, come il bellissimo finale dichiara esplicitamente, che trascende la cupidigia per il denaro, ma che è una sorta di morbo che lo allontana dai suoi affetti, e che si espande in tutta la sua casa e sulle persone che la abitano. Un Molière, dunque, di cui si riscoprono tutte le possibili liaison con il momento presente.

«L’avaro è Arpagone – si legge nelle note di regia di Arturo Cirillo – ma gli altri, cosa sono gli altri? Quale spazio è concesso all’alterità in questa casa corridoio dove tutto è ansiosamente osservato dal suo padre padrone? Tre sono i figli di Arpagone: Cleante, Elisa e la cassetta, ma solo l’ultima è stata “partorita” da lui stesso. Gli altri sono i figli di una madre morta, figli nemici vissuti come sottrattori di giovinezza ed amore, ancor prima che di denari. Mariana, la ragazza che si fa comprare dal vecchio avaro, per intermediazione della ruffiana Frosina, è forse l’ultimo anelito di vitalità, la battaglia finale per dare scacco matto al mondo e alle leggi della natura.

Pornografia senile in cui “l’eretto” deve essere solo lui, gli altri li si lascia prigionieri dei loro ruoli, costretti a fare la commedia, mentre lui allude e depista. Solo i servi, non prendendolo sul serio, potrebbero farlo fuori, e non è casuale che sia l’anarchico Saetta a rubargli la cassetta, ma essi però sono pur sempre servi. Insomma gli altri senza Arpagone non si sa bene di cosa possano parlare, di cosa occuparsi. È come l’abitudine, secondo la definizione di Samuel Beckett: il collare che tiene legato il cane al suo vomito. Tutti lo schifano, ma tutti ne sono legati, quasi al guinzaglio, e alla fine, quando l’operetta delle agnizioni li scioglie dal legame, loro, finalmente liberi dove andranno? I vari figli, commissario, ruffiana, futura sposa, cuoco e cocchiere, vecchio nobile napoletano, domestico travestito, di cosa riempiranno ora le loro giornate senza più questo sottrattore di vita? Adesso gli toccherà viverla la vita, diventando Arpagoni loro stessi o magari liberandosi del cappio dell’avere, del possedere, di quello che è oggi il nostro esistere».

Insieme a Cirillo che veste i panni del vecchio Arpagone, Michelangelo Dalisi è Cleante, Monica Piseddu è Elisa, Luciano Saltarelli è Valerio, Antonella Romano è Mariana, Salvatore Caruso è Anselmo, Saetta, Fildavena, Sabrina Scuccimarra è Frosina, Vincenzo Nemolato è Mastro Simone, Baccalà, Commissario, Rosario Giglio è Mastro Giacomo. Le scene sono di Dario Gessati, i costumi sono di Gianluca Falaschi, il disegno luci è di Badar Farok e Dario Gessati, le musiche sono di Francesco De Melis. Regista assistente Roberto Papasso, assistente costumista Gian Maria Sposito, I costumi sono dipinti da Silvia Fantini.
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