sabato 17 marzo 2012

LA FAVOLA DI AMORE E PSICHE

Fino al 10.VI.2012
LA FAVOLA DI AMORE E PSICHE
Il mito nell’arte dall’antichità a Canova
Roma, Museo di Castel Sant’Angelo

L’eternità del mito apuleiano in una vorticosa fusione di letteratura, simbolo, arte, filosofia, archeologia

La favola di Amore e Psiche torna a rivivere grazie all’ideazione di una mostra nata dall’unione di forze provenienti da settori disciplinari trasversali. Studiosi di letteratura antica, archeologi e storici dell’arte hanno realizzato un evento dalla portata culturale destinata a lasciare un segno profondo, dando vita ad un incontro felice in quanto fruttuoso e ricco di spunti di riflessione.
Come molti sanno, il mito di Amore e Psiche nacque dalla creazione di Apuleio, scrittore geniale vissuto durante il II secolo. La bella fabella costituisce un’ampia inserzione narrativa all’interno della ben più estesa cornice, la narrazione della maggiore opera apuleiana, l’Asinus aureus, un vero e proprio romanzo ante litteram.

Significativa e altamente simbolica è la collocazione di questa mostra all’interno di Castel Sant’Angelo, che fu in origine il mausoleo di Adriano, sotto il cui impero nacque il cives romanus africanus Apuleio. Adriano, amante dell’arte e poeta egli stesso (memorabili sono le sue tracce poetiche: Animula vagula blandula, / hospes comesque corporis […]), avrebbe senz’altro gradito che all’interno della sua dimora extraterrena continuasse a vivere lo spirito del suo tempo attraverso la riproposizione di un mito inestricabilmente legato al concetto di anima, sul quale era solito riflettere (ψυχή, del resto, in greco significa ‘anima’).
L’opera è dunque frutto del genio di un uomo pienamente romanizzato, benché si possa certo riconoscere un fruttuoso e vivo retroterra orientale, permeante nella scrittura dell’intero romanzo così come nella favola, tramite l’immissione di contenuti legati ai culti esotici quale quello di Iside.

L’ideazione della mostra nasce in concomitanza con il compimento dei lavori di restauro del fregio di Perin del Vaga raffigurante proprio la favola dei due amanti presso una delle sale di Castel Sant’Angelo. La realizzazione di tale decorazione fu voluta da Paolo III, e rientra nel piano di ristrutturazione del Castello, avviata nel 1542.
Il Cinquecento, del resto, è il secolo che assistette alla rinascita della fortuna del mito, le cui radici, come si è detto, affondano nel II secolo d. C..

Dall’invenzione letteraria alle prime trasposizioni artistiche il passo fu breve. Infatti, volendo seguire con ordine il percorso della mostra, nella prima sala sono ospitate terracotte, gruppi marmorei, gemme e cammei, nonché frammenti di sarcofagi, tutti risalenti ai primissimi secoli dopo la nascita di Cristo. Ma sono altresì presenti tracce di un passato ancor più remoto, come gli oggetti del periodo egizio, che riconducono alla fonte del mito, ovvero a tutto quel sostrato di simboli, immagini e culture da cui Apuleio aveva tratto ispirazione.
L’iconografia ha subito un rapido assestamento, le varianti sono minime: Psiche è talora alata (le ali sono quelle della farfalla, ulteriore significato del termine greco ψυχή), talatra priva di ali; Amore è molto più spesso alato. Il mito fu presto assorbito dalla sfera nuziale (Amore e Psiche convolarono a fauste nozze), come risulta chiaro dalla presenza di oggetti come cammei appartenenti a donne sposate; in altri casi il mito è stato legato alla morte, visto che spesso tali oggetti si ritrovano all’interno di sarcofagi. Del resto, nella favola, un oracolo prospetta il matrimonio dei due come un atto di morte, poiché le nozze segnano la morte della persona che si è stata in precedenza.

La seconda sezione, sviluppata in due sale, offre la possibilità di venire a contatto con il periodo in cui il mito rifiorì, dopo periodi di alterna fortuna: il Rinascimento.
L’esposizione di due stampe relative agli adattamenti dell’originale apuleiano che ne fecero Niccolò da Correggio e Matteo Maria Boiardo e un’edizione cinquecentesca modenese dell’Asino d’oro è la concreta testimonianza della rinata fortuna editoriale di Apuleio, dovuta alla riscoperta di Boccaccio, che ne eseguì una copia negli anni ’30 del XIV secolo. Com’è chiaro, la fortuna del testo apuleiano visse un momento di splendore in ambito estense. Ed è dalla stessa area che provennero artisti come Pellegrino Munari (detto Pellegrino da Modena), autore di un Giove e Cupido.

Le opere pittoriche proposte all’interno del suddetto spazio rinviano citazionalmente al capostipite raffaelliano, vale a dire la splendida rappresentazione eseguita dal grande urbinate per Agostino Chigi presso la Loggia della Villa Farnesina, conosciuta come Loggia di Amore e Psiche.
Proprio della Loggia della Farnesina, al termine del percorso della mostra, è possibile assistere ad una rappresentazione in 3D, proiettata su un maxischermo a luce pulsata, che è stata realizzata dall’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile).
Gli affreschi raffaelliani aprirono dunque la strada ad una nuova rivisitazione del mito, questa volta in chiave pittorica, e non solo, se si prendono in considerazione le incisioni del Maestro del Dado e di Agostino Veneziano. Queste ultime furono visibilmente forgiate sul modello iconografico fornito dall’antichità e dall’opera raffaelliana. Tra i capolavori di questa sezione si annovera la Psiche abbandonata da Amore di Joseph Heintz detto il Vecchio.

Le opere esposte nella terza sezione si concentrano sull’aspetto misterioso della favola, di cui la scena della lampada rappresenta uno dei momenti più alti in tal senso. Ben ben quattro tele (tra le quali spicca quella di Jacopo Zucchi) manifestano l’attenzione dei pittori secenteschi verso il momento di svolta della favola, ovvero quello in cui Psiche, spinta dalle sorelle, è sul punto di scoprire la vera identità di Cupido illuminandone il volto con una lampada ad olio durante uno degli incontri notturni avuti con il daimon, che non si era mai mostrato alla sua giovane amante.

La rivitalizzazione del mito effettuata dal Romanticismo e dal Neoclassicismo è messa in rilievo all’interno della quarta ed ultima sezione. A cavallo tra il Settecento e l’Ottocento la fortuna del mito apuleiano ebbe un nuovo picco, con l’accentuazione di alcuni motivi della favola congeniali al coevo movimento culturale del Romanticismo, quali il sonno, l’estasi, la perdita dei sensi, evinti dallo sviluppo della vicenda, ovvero nel momento in cui Psiche, mossa da grande curiositas – la stessa che l’aveva indotta a scoprire il vero volto di Cupido («[…] insatiabili animo Psyche, satis et curiosa […]»– apre l’ampolla consegnatale da Venere, nella quale non era stata riposta parte della bellezza della Dea, bensì degli effluvi soporiferi.

A fare da padrone nella penultima sala è un gesso canoviano di suprema bellezza: si tratta del gruppo di Amore e Psiche stanchi, amanti ormai rappresentati con le fattezze di adulti, colti nell’intimo e delicato gesto di giocare con una farfalla. Il sofisticato gioco di rimandi alla sfera semantica dell’anima-farfalla, com’è chiaro, perdura in qualità di spunto vivo e vivificante durante lo scorrere dei secoli.
Sono esposte anche una piccola terracotta di Canova, bozzetto originale in scala ridotta del più noto gruppo del bacio, e la rappresentazione scultorea che ne fece Thorvaldsen, nel suo Cupido rianima Psiche.
Le sculture con le quali si chiude il cerchio del percorso (che si era aperto con le sculture dell’antichità), ci consegnano dunque, in linea con le scelte effettuate dai pittori romantici, una Psiche pensosa, abbandonata, svenuta.

La mostra è stata interamente realizzata dalle sovrintendenze al polo museale e ai beni culturali di Roma Capitale. La cura della stessa è stata affidata al direttore del Museo di Castel Sant’Angelo, Maria Grazia Bernardini, la quale è stata coadiuvata, per la sezione archeologica, dal curatore archeologo dei Musei Capitolini, Marina Mattei. Quest’ultima, alla fine del suo intervento durante la conferenza stampa di presentazione, ha auspicato che questa mostra possa trasmettere tre messaggi fondamentali: che la cultura sancisca l’unione e il dialogo, che quest’iniziativa sia di invito ad un più sano antimaterialismo e infine che l’arte e questa mostra nello specifico possano essere foriere di purificazione e di sviluppo. Con queste parole la dottoressa Mattei ha voluto alludere significativamente alla duplice sfera semantica nel cui terreno affonda le radici il nome stesso di Psiche, che è anima, perennemente bisognosa di purificazione, e farfalla, il cui ciclo vitale è incessantemente ribadito e riformulato.

vincenza accardi
mostra visitata in anteprima il 15 marzo


dal 16 marzo al 10 giugno 2012
LA FAVOLA DI AMORE E PSICHE
Il mito nell’arte dall’antichità a Canova
a cura di Maria Grazia Bernardini e Marina Mattei
Museo di Castel Sant’Angelo
Lungotevere Castello, 50 – 00193 Roma
Orario: tutti i giorni 9-19, lunedì chiuso (la biglietteria chiude alle 18,30). Pasqua, 25 aprile, 1°maggio e 2 giugno aperto. Lunedì 9 aprile (Pasquetta) aperto e martedì 10 aprile chiuso.
Ingresso: intero € 10; ridotto € 7,50
Catalogo: «L’Erma» di Bretschneider
Info: tel. +39 0632810 – 6819111;

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