giovedì 2 ottobre 2014

MUTATIS MUTANDIS


DOROTHY CIRCUS GALLERY
proudly presents

OCTOBER SPECIAL EVENT

MUTATIS MUTANDIS 
mostra personale di Veronica Montanino
a cura di Giorgio de Finis

Dal 3 Ottobre al 28 Ottobre 2014 - Dorothy Circus gallery – Rome Italy
Mutatis mutandis: la pittura della natura e la natura della pittura
Veronica Montanino exhibition



È possibile presentare i quadri dei pittori – si chiedeva Roger Caillois (1) – come la varietà umana delle ali della farfalla? La risposta dell’antropologo francese era affermativa, ma a patto di operare (anche solo temporaneamente) una sospensione dei criteri di ordinamento del sapere quale lo conosciamo adottando una “prospettiva trasversale”. In primis l’opposizione Natura/Cultura. Anche Karl Popper, separatore di mondi, del resto scriveva che il mondo 3 è per l’uomo l’equivalente del miele per le api e della tela di ragno per i ragni. Tale sospensione non è esercizio peregrino se permette di interrogarsi su questioni quali la “natura” della pittura. Veronica Montanino pone proprio “l’enigma indecifrabile” della varietà dei disegni delle ali di farfalla (2) al centro della serie realizzata per la Dorothy Circus Gallery (anche se centro non ci può essere in chi sembra voler abbracciare la “scienza diagonale”). 

Cosa risulta incomprensibile della bellezza delle ali della farfalla? Il suo essere sostanzialmente senza scopo. Inutile, non funzionale (3). Come il potlatch mette in crisi il paradigma dell’homo oeconomicus, cosi la natura pictrix disvela una tendenza al dispendio che la vulgata evoluzionista del mors tua vita mea, tutto minimo sforzo e adattamento, non sembrava contemplare tra le caratteristiche degli esseri plasmati dalla selezione naturale.

La pittura germinativa, infestante, virale, metamorfica, psichedelica, “overlook”, di Veronica Montanino, ci invita a riflettere sul ruolo che generosità, esuberanza, e inutilità giocano nell’operare dell’arte e della natura (4). Mutatis mutandis ricerca ciò che è comune a questi due regni, fatte le debite differenze. 

Artista dedita alla pratica del camouflage e del remix, Veronica Montanino corteggia la mimicry e l’ilinx, la maschera e la vertigine, invita al capogiro, all’allucinazione, al disorientamento, a smarrire il senso univoco della strada maestra. Niente bussola o molliche di pane nei boschi narrativi che l’artista ci propone. Alto e basso spariscono, figura e sfondo giocano a rimpiattino in una superficie stratificata dove ciò che esce dalla macchia per farsi figura, o lascia il colore per farsi forma, subito si riperde col sopraggiungere di un nuovo livello (5). Labirinti dove perdersi alla ricerca di un fil rouge che l’occhio seguendo i diversi pattern a tratti ritrova, ma che si rivela falsa indicazione, depistaggio, trappola, vicolo cieco. Ginnastica della visione che produce miraggi e al tempo stesso nasconde, spezzando la forma, maculando, zebrando, striando, tatuando ciò che ci appare familiare, ma che forse non lo è. Come gli ocelli della Caligo prometheus non sono gli occhi della civetta. Le storie, dalla dimensione del bìos si fanno zoé (senza scopo è il tempo ciclico), cosi i miti e le fiabe, ridotti a tracce, tornano motivi “liberi”. Anche la fiaba di Psiche e Amore… si riduce a frammenti di un discorso amoroso. Come nelle pietre paesine (e la pittura a strati, colata, di Veronica Montanino ha qualcosa di geologico), ognuno riconosce la sua città e ricostruisce la propria storia. 

script by Giorgio de Finis



(1) Caillois, R., Méduse et Cie, Èdition Gallimard, Paris, 1960, trad.it. L’occhio di Medusa. L’uomo, l’animale, la maschera, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1998.

(2) Caillois, op.cit.: p.23.

(3) Caillois non nega il valore spiazzante e difensivo di molti dei disegni presenti sulle ali dei lepidotteri, ma non lo ritiene sufficiente a spiegarne l’enorme varietà e il “dispendio fastoso” di forme e colori (Caillois, op.cit.: pp.34-35).

(4) Nonostante Veronica Montanino ricerchi, anche nella pratica pittorica messa in atto, una autonomia dal linguaggio e dalla narrazione, non è estranea al suo lavoro una dimensione “metalinguistica”. Una esplicita riflessione sull’operare stesso dell’arte è al centro della grande parete realizzata per l’ingresso della Casa dell’Architettura di Roma. Al centro de “La Bella Stagione”, un giardino fantastico, multicolor e multiforme, Montanino colloca una grande figura femminile, quasi un autoritratto, che si innaffia i piedi, un gesto “inutile” che intende celebrare, a detta della stessa Montanino, la libertà dell’espressione artistica. Un altro grande muro realizzato di recente dall’artista per una abitazione privata sembrerebbe confermare, a giudicare dal titolo (“Penser la dépense”) alcune delle considerazioni sopra riportare. Meriterebbe un approfondimento maggiore la questione del dipingere “alla maniera della natura” che Veronica Montanino indubbiamente ricerca, ricorrendo ad una pittura fatta di applicazione, tempo (e fatica), gesti ripetuti, talvolta ossessivamente e pazientemente reiterati, escamotage utilizzati per esorcizzare la tentazione di una qualsivoglia costruzione cosciente. Sul decorativo come “fantasma perturbante” rimandiamo al volume di Giuliana Altea, Il fantasma del decorativo, Il Saggiatore, Milano, 2012. 

(5) Dichiara Veronica Montanino: “Non sono interessata alle gerarchie, né ai primati, né alla supremazia di un genere sull’altro. Per me astrazione e figurazione sono la stessa cosa in quanto elementi, non concorrenti, dell’immagine”, Un giardino per celebrare l’arte, intervista a Veronica Montanino a cura di G. de Finis, “AR”, 107, luglio-agosto 2013, pp.30-31 . 


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