domenica 16 febbraio 2014

Simon Hantaï


Simon Hantaï
A cura di Éric de Chassey

12 febbraio – 11 maggio 2014
Accademia di Francia a Roma 
Villa Medici 
Roma



Simon Hantaï approda in italia.

L' Accademia di Francia a Roma con la collaborazione del curatore Éric de Chassey, propone la prima esposizione italiana dell’artista olandese, prosecuzione della personale a lui dedicata al Centre Pompidou a Parigi.

Entrando nella prestigiosa cornice delle Grandes Galeries di Villa Medici, si ha il primo incontro con l'artista: un video presenta Hantaï impegnato nella realizzazione di un’opera con il metodo del pliage. Una tecnica caratterizzante dell’artista. Nella pellicola Hantaï accartoccia una tela, ci passa sopra con un rullo di pietra, che con la sua pesantezza schiaccia la tela e i suoi rigonfiamenti, immagine evocativa di simboli agresti di una vita antica, l’artista sembra arare l’opera d’arte come si potrebbe fare per un campo preparato per la produzione di frutti.

E’ adesso che la tela, accartocciata e pressata, è pronta per essere dipinta con del colore liquido.

L’ultima fase prevede la “dispiegatura” della tela: l’artista la tira e la stira per riportarla all’originaria dimensione, a creare spazi di colore e non colore, ottenuto dalle precedenti pieghe di tessuto. In questa operazione di “dispiegatura” Hantaï sembra quasi entrare nell’opera, scomparire al suo interno, sembra di assistere ad uno spettacolo in cui è l’opera a prendere vita, si può rimanere a bocca aperta nell’osservare la nascita, dell’opera, come di una nuova vita, come di una crisalide che diventa farfalla, come assistere ad un miracolo.

Nella sala successiva sono esposti dei grandi quadri, realizzati con una lavorazione a più fasi. Sulla tela già dipinta il pittore opera una seconda volta, passando sul quadro delle lamette con lame ricurve ed una superficie metallica appartenente ad un laterale di una sveglia, oggetti carichi di simbolismo, a creare un’opera che si presta alla evocazione di immagini ed emozioni in chi osserva i quadri stessi. Sono le opere degli anni ’58 - ’59 in cui l’artista concepisce l’arte come lavoro rituale, dove la soggettività dell’artista perde di valore, alle prese con un lavoro manuale e ripetitivo che potrebbe esser fatto da chiunque, dove egli può lasciare alla materia della tela la possibilità di esprimersi, anche nell’ottica di una rivalorizzazione dei lavori umili, a scapito del concetto di talento, secondo Hantaï , non necessario alla realizzazione delle proprie opere. La riflessione è portata sull’annosa questione, tanto evocata nell’ambito del surrealismo, cui questo artista si avvicina molto all’inizio del suo percorso artistico, e non solo: cos’è l’arte? Cos’è il talento? Chi è l’artista?

Forse proprio a partire dalla volontà del pittore di non imprimere la propria soggettività entro l’opera, le tele sembrano proporsi a maggior ragione come grandi stimoli cui poter dar forma con la propria fantasia, entro però toni, di colore, scuri e cupi. Il contrasto tra le emozioni di tristezza o ansia che possono essere evocate da queste tele, sembrano confondere e spiazzare se confrontate con le sensazioni positive e gioiose che possono essere esperite guardando il video che accoglie il visitatore all’ingresso.

La sala successiva espone due grandi tele dello stesso anno di realizzazione, ’58 - ’59, anche la tecnica utilizzata è affine: Peinture (écriture rose) e Galla Placidia, opere cui l’artista ha lavorato contemporaneamente, alla prima di giorno e alla seconda di pomeriggio, per 365 giorni. 
In Peinture (écriture rose) è evidente l’eredità del periodo “scritturale” di Hantaï , dove le parole scritte compongono il quadro, diventando così fitte da risultare irriconoscibili, si perde il senso delle parole, nel loro significato quanto nel segno grafico delle stesse, che vanno a costituire lo sfondo, la struttura, la base indistinguibile poiché stratificata, come la storia di ognuno si potrebbe aggiungere. In quest’opera sono le citazioni di Hegel, Kierkegaard, Holderlin, a confondersi e a ricreare, con i giochi della pittura, simboli della storia personale dell’artista: la croce cristiana, la stella ebraica, il rovesciamento del calamaro di Lutero. Interessante è che nel quadro il colore dominante sembra essere il rosa, come suggerito anche dal titolo, ma è invece una tonalità completamente assente, è un effetto visivo ottenuto grazie all’uso di colori come il rosso, il viola, il nero e i colori scuri della terra. 

Continuando la visita, ci si trova immersi nella serie delle Mariale (in italiano, Mariane). La tecnica qui è una variante del plage a rendere un contrasto forte tra lo sfondo originale della tela che è stata poi piegata e dipinta. Vi sono tele di diverse dimensioni, su cui spiccano due enormi tele, una azzurra ed una rossa. I colori sono vibranti, accesissimi, a contrasto con i bianchi o i grigi che sembrano creare delle fenditure nei colori vivi. Continuando ad osservare il quadro ci si può però arrivare a chiedere: o è il rosso, come l’azzurro a nascere e sbocciare dall’oscurità del grigio che ricorda tanto un quotidiano di attualità? Ci si può chiedere quale sia la forma e quale lo sfondo, quale il pieno e quale il vuoto e ci si può sentire privi di ancoraggi nel momento in cui si può immaginare di non poter operare una tale distinzione.

Un percorso artistico unico, esposto magistralmente che permette di coglierel'essenza e l'evoluzione del grande artista . Le opere di Hantaï possono far pensare ad una metafora, come storie, come la vita, a tinte forti e contrastanti, dove razionalità e emozione, dell’artista che le realizza e del visitatore che le osserva, possono trovare un luogo di incontro, dialogo, integrazione, convivenza. 

Le opere realizzare dal ’72 all’ ’82, sono tele monumentali, realizzate attraverso un’evoluzione della tecnica del plage: la tela è annodata al rovescio, stavolta secondo un rigoroso disegno ortogonale regolare, poi stirata, dipinta, solo successivamente “dispiegata”. L’effetto è appassionante. Osservando una tela si possono provare sensazioni contrastanti, nel guardare enormi quadrati di colore acceso, denso, materico, non uniforme ma vivo, con venature, come storie al suo interno, contenute però entro un reticolo di righe parallele ed ortogonali di un bianco altrettanto accecante. Di fronte ai colori forti dei quadri si può avere l’impressione di essere al cospetto di un’esplosione di emozioni contrastanti, colori vitali ma al tempo stesso spezzati, macchiati, tagliati, dalle strisce di bianco dai contorni irregolari.

Questa esposizione offre un entusiasmante scorcio sulla storia di Hantaï , la sua evoluzione artistica, il suo modo di pensare e fare arte. 

Le sue opere possono far pensare ad una metafora, come storie, come la vita, a tinte forti e contrastanti, dove razionalità e emozione, dell’artista che le realizza e del visitatore che le osserva, possono trovare un luogo di incontro, dialogo, integrazione, convivenza. 

Alberta Mazzola

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