lunedì 20 gennaio 2014

'Un matrimonio' - intervista a Adelmo Togliani



'Un matrimonio'


Prima puntata - Rai Uno 29 Dicembre - Prima Serata
Seconda puntata - Rai Uno 30 Dicembre
Terza puntata - Rai Uno 5 Gennaio
Quarta puntata - Rai Uno 12 Gennaio
Quinta puntata - Rai Uno 19 Gennaio
Sesta - ed ultima - puntata - Rai Uno 20 Gennaio


La tv riprende forma e audience con il nuovo lavoro di Pupi Avati. Il regista a fine dicembre ha regalato al pubblico del piccolo schermo una serie unica: “Un Matrimonio”. Titolo ricco di significato, emblema di un’unione che non sempre è eterna.
 La trama è semplice e fluida, narra le vicende di una coppia che s’innamora e si sposa nell’Italia del dopoguerra. Una realtà difficile ed a volte avversa che i protagonisti superano non senza qualche difficoltà. Attraverso le loro vite si mette in evidenza mezzo secolo della penisola: mutamenti politici e sociali. Le vicende politiche si riflettono anche in casa dei due protagonisti, perché lei è comunista mentre lui è democristiano. Sullo sfondo c’è Bologna, una città abbastanza rappresentativa dei cambiamenti del nostro vivere. Una storia raccontata attraverso la narrazione di una figlia adottiva paraplegica della coppia.

La ragazza è la voce narrante che racconta la storia dei suoi genitori con delicatezza e la consapevolezza di una persona che è cresciuta in casa, divenendo una donna diversa dalle altre. Una commedia all’italiana con i suoi elementi classici: amore, separazioni, diversità, tradimenti. Elementi portanti di una ricetta perfetta, domenica 5 gennaio, la terza puntata della fiction e' stata scelta da 4 milioni 510mila spettatori, pari a uno share del 17.36.

“Sono sei parti di un unico film della durata complessiva di 600 minuti. Sarà una grande saga che più italiana non si può. Parte dal 1948 e si conclude verso il 2005. Racconta la storia di due persone che si conoscono sul greto del fiume Reno, a Sasso Marconi, si innamorano e poi si sposano. Però Un matrimonio inizia con la celebrazione delle nozze d’oro, poi a ritroso racconta mezzo secolo di vicende familiari, ma usando un espediente narrativo”, ha confessato il regista durante una recente intervista che nel giro di poche settimane, prima con il film tv Il bambino cattivo (oltre il 10% di share), ritratto di un figlio trascurato da genitori disattenti e lontani, recuperato dai laici che si occupano di persone come lui e Un matrimonio ha creato percentuali di audience da record (su RaiUno ha superato il 20% con la seconda puntata, la terza sarà domenica prossima e si prevede un ulteriore balzo). Naturalmente anche il cast fa la differenza, tra i protagonisti ritroviamo Andrea Roncato, Christian De Sica, Flavio Parenti, Francesco Brandi, Micaela Ramazzotti, Adelmo Togliani. Attore, regista e sceneggiatore. Un uomo versatile, che lavora a livello cinematografica, teatrale e cinematografica. Parliamo con lui dell’ultimo lavoro: ”Un matrimonio”.

Come nasce la collaborazione con Pupi Avati?
Erano anni che desideravo lavorare con lui. Ci fu un incontro moltissimi anni fa. Avevo doppiato un loro film e Pupi mi disse che nel prossimo progetto ci sarebbero stati dei piccoli ruoli che però riteneva irrilevanti o in alcuni casi inadatti. Io sostenni che qualunque fosse stata la proposta, l'avrei accettata. A me non interessava l'importanza dei personaggi ma la possibilità di lavorare con lui. Purtroppo la cosa non lo convinse, e non se ne fece più nulla. Solo dopo otto anni son riuscito a strappagli un provino per una sua opera, ed eccoci qui su RaiUno con Un Matrimonio. 

Come si è trovato a lavorare con lui, che persona è?
C'è da dire che Pupi Avati è un maestro, perciò mettersi in ascolto è la prima cosa che un attore deve fare.

Regista e uomo sono simili nella realtà?
Avati è una persona disponibile e molto cordiale, ma sul lavoro sa essere duro al punto giusto. Questa dote è la cosa che apprezzo di più. Proprio in questo modo riesce a tirare fuori delle cose di te che all'inizio non riesci a immaginare. 

Ci racconti delle riprese….
Le riprese si sono svolte per la gran parte a Cinecittà ed è sempre un piacere lavorare in studi così prestigiosi e attrezzati. Lo studio poi, ha un vantaggio: lì è più facile raccogliere la concentrazione. Diventa una sorta di isola felice. Con questo non voglio dire che il set non sia 'incasinato', però a volte Cinecittà sa ancora creare quel microcosmo cui ogni pellicola dovrebbe aggrapparsi nella sua fase di produzione. Lo vedo come un modo per proteggere le opere ma anche per farle entrare in un mood di aggregazione e intimità tra troupe e attori, che lasciano tutto il resto fuori.

I rapporti con altri attori…..
Conoscevo molti dei protagonisti e con alcuni siamo in ottimi rapporti. L'Accademia Togliani produce persino lo spettacolo di Antonella Ferrari, "Più forte del destino". Con gli altri ci lega una forte amicizia oltre, come nel caso di Micaela, alcune precedenti esperienze di set. Con Christian De Sica avevo girato sempre per RaiUno la fiction lo Zio D'America, mentre ho avuto il piacere di dirigere qualche anno fa in un mio progetto - Wilma, una sitcom ambientata in un centro benessere - Katia Ricciarelli. E anche qui non ha potuto che confermare il suo straordinario talento. Per Avati è l'attrice ideale, dotata di una semplicità recitativa disarmante, perfettamente in linea con la cifra stilistica del maestro che punta alla verità, al minimalismo e allo smorzamento di certi toni esagerati e 'recitati', tipici di taluni attori.

Dal teatro alla tv…un grande cambiamento…come lo ha vissuto? Impressioni, considerazioni, aneddoti…..
Cerco di passare da una cosa all'altra. Non so se mi riesce sempre bene...talvolta inciampo anch'io e mi rifugio nella regia. Entrambe le cose, recitare e dirigere, hanno bisogno di molta energia, ma tutte le esperienze per me risultano appaganti. Soprattutto nella sconfitta. Tutti dovrebbero prendere coraggio e capire una buona volta che è facendo e sbagliando che ci si arricchisce. All'inizio della mia carriera ho studiato tanto teatro, poi recitare solamente è diventato via via limitante. Anche se ho avuto la fortuna di incontrare agli esordi registi importanti come i fratelli Frazzi o Angelo Longoni, il ruolo dell'attore mi stava stretto, così ho scelto di esplorare nuovi orizzonti, capire come guidare le emozioni in una determinata scena e più ampiamente in una vicenda narrata.

Mio padre, noto per essere stato molto severo nei miei confronti, in realtà fu da subito entusiasta di una mia regia dal titolo Brothers. L'unica, in cui mi ha potuto vedere all'opera, prima di morire. Alla prima mi si avvicinò e mi disse: "C'è un gran ritmo, lo avrei solo fatto più lungo. Hai avuto paura che non reggesse..."

La serie è stata un grande successo. Se fosse stata realizzata come film, secondo lei avrebbe avuto lo stesso seguito?
Il primo ostacolo sarebbe stato la riduzione cinematografica di una tale saga. Non credo che sarebbe stato facile farci stare dentro tutto. Sul successo e sul seguito di pubblico, invece non ho dubbi, Avati non ha mai avuto problemi al botteghino. I suoi film incassano sempre.

Il cinema vive un momento drammatico. La tv forse offre opportunità diverse? Se sì, quali?
Il cinema sta per risorgere grazie ai film a basso budget, ai buoni intenti di giovani filmmaker come Giorgio Croce Nanni in grado di declinare anche in modi diversi le storie - lui è l'autore dei trailer apocalittici che imperversano da qualche anno su internet - e al product placement di cui anche io mi avvalgo per sostenere le mie operazioni. Sulla tv posso dire che la varietà di canali che il digitale terrestre offre ha cambiato tutto. C'è più scelta e più generi. Collaboro da oltre un anno con la Publispei, società produttrice di serie di successo come Medico in Famiglia e I Cesaroni. Ora alla guida di Publispei c'è una giovane di temperamento, Verdiana Bixio, capace di grandi intuizioni. La sua idea è di creare nuovi format per la tv e per il web partendo da menti fresche e creative, determinati per cambiare le cose. Per me è un grande stimolo e sono certo che quest’ approccio ci porterà lontano.

Tv e cinema in Italia…differenze, similitudini, pensieri, considerando il suo ruolo nell’Accademia Togliani.
Innanzitutto dovremmo smetterla di fare paragoni. Sono due cose diverse, ma sono vicine più che mai. Copiamo gli americani in tutto e non ne sappiamo mai prendere il meglio. Negli Stati Uniti attori e registi spaziano da un mezzo all'altro senza problemi. David Lynch con Twin Peaks è stato il capostipite, poi a seguire, dei veri e propri big come Spielberg e Scorsese si sono cimentati nella tv. Per non parlare degli attori, Charlie Sheen, Tim Roth, Al Pacino, Jennifer Garner.

Le etichette, che in Italia piacciono tanto, dovrebbero sparire. All'Accademia Togliani forniamo ai nostri allievi gli strumenti per avvicinarsi alla tv come al cinema o al teatro, senza distinzione. Perché come sostiene Avati ognuno ha la sua verità e questa, una volta che viene fuori, va usata ovunque.

Ritiene che il pubblico della tv sia diverso da quello del cinema?
Il pubblico è lo stesso ma deve essere educato. Un film noioso è comunemente riconosciuto come un polpettone. In egual modo una brutta serie rimane tale. La tv dovrebbe educare di più a gradire certo genere di spettacoli. Siano essi un film di Wes Anderson , che un'opera di video-arte o di balletto contemporaneo.

Una valutazione su questa esperienza televisiva.
C'è sempre da imparare, la vita professionale può essere ricca di insegnamenti e mi aspettano ancora grandi sorprese.

Fabiana Traversi

Si ringraziano Adelmo Togliani ed il suo ufficio stampa.

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