martedì 3 dicembre 2013

Giulio Paolini. Essere o non essere

Giulio Paolini.
 Essere o non essere
a cura di Bartolomeo Pietromarchi

Dal 29.XI.2013 al 9.III.2014 
MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma
Roma



In collaborazione con la WhiteChapel Gallery di Londra, Giulio Paolini per la prima volta propone un percorso monografico dedicato al ruolo (o non ruolo) dell’autore rispetto alla sua opera. Attraverso i quattordici lavori in mostra, l’ultimo ideato appositamente per l’occasione, “Essere o non essere” intende analizzare il tema della vacatio, mettendoci in guardia dallo “scandalo della comunicazione”.

Dal 29 novembre 2013 al 9 marzo 2014 gli spazi del MACRO ospitano Essere o non essere, di Giulio Paolini (1940, Genova), a cura di Bartolomeo Pietromarchi. Il titolo dell’esposizione, che proseguirà in una versione ampliata presso la WhiteChapel Gallery a Londra nel luglio 2014, è mutuato da una delle opere in mostra e riassume il senso che sottende a questo nuovo progetto: l’interesse primario per l’autore e il suo rapporto con l’opera. 

L’artista dedica per la prima volta un’intera mostra a questo tema, così centrale nella sua poetica, e che si è manifestato in modo ricorrente nella sua produzione: basti citare il suo ultimo libro L’autore che credeva di esistere. La scelta dei lavori, allestiti come “isole” di luce in una successione di ambienti in penombra, propone per la prima volta un percorso monografico dedicato a un tema di particolare rilievo nella poetica di G. Paolini: l’autore e il suo ruolo (o non ruolo) rispetto alla concezione dell'opera e al suo manifestarsi.

Il percorso espositivo (composto da 14 opere datate tra il 1987 e il 2013) si snoda attraverso le cinque stanze della Sala Bianca: l’elemento dominante è la vacatio in senso assoluto, l’incertezza, intesa come ripensamento dell’essere contemporaneo nella società. 
Ad accogliere lo spettatore troviamo l’enigmatico autoritratto Delfo IV (1997), quarta variante di un tema già avviato nel 1965; la fotografia rappresenta Paolini affacciato al balcone della sua abitazione, inserita in un ingrandimento della fotografia medesima. La “finestra nella finestra” ribalta prospettiva e profondità di campo, lasciando un senso di stordimento e interdizione. Segue Big Bang (1997-98), installazione-metafora che riporta al soffio originario della creazione di un’opera, ovvero il luogo di lavoro dell’artista. Cubi di plexiglas, tele, e fogli accartocciati rappresentano materialmente l’inesauribilità del processo creativo: l’autore ripensa continuamente, rilancia, accartoccia, scarta e ricrea, illuminato, forse accecato, da 9 spot rotanti, 9 come il numero dei pianeti solari. 

Essere o non essere (1994-95) è l’opera che dà il titolo alla mostra: sul pavimento si stende una scacchiera di tele al recto e al verso intorno all’immagine di due figure maschili (intente l'una a disegnare e l'altra a guardare quel che sta prendendo forma), riporta gli elementi essenziali del fare artistico come la tela, la carta, la fotografia.

Nella terza stanza l'opera Contemplator enim (1992) raccoglie intorno a sé quattro lavori, posti in relazione gli uni con gli altri a formare una complessa situazione riferita all'autore, a una sua controfigura (il valet de chambre in costume settecentesco) o a un suo gesto "rituale" (mani che disegnano o trattengono qualcosa). Come spiega lo stesso Paolini, “le opere si coalizzano tra loro”, dando vita ad un intreccio teatrale; il vetro non è altro che un sipario che apre su Photofinish (1993-1994), istallazione in cui torna il tema della scacchiera duchampianamente costituita da riproduzioni fotografiche in miniatura delle opere di Paolini. Poco oltre, l'ospite (1999) propone uno studiolo, seminascosto allo sguardo dello spettatore, in cui tra i vari elementi in gioco compare un ritratto di Jorge Luis Borges.
Nell'ultima sala l'opera inedita, intitolata L'autore che credeva di esistere (sipario: buio in sala), vede al centro dell'ambiente un tavolo di lavoro (invaso da un “terremoto cartaceo”), sul cui piano di appoggio una matita in posizione verticale funge da perno centrale, orientato verso una "quadreria" di elementi diversi allestiti sulla parete di fronte (teche in plexiglas, tele, riquadri disegnati a parete), che però non trasmettono nessun messaggio, occupano solo lo spazio. Sulla medesima parete delle immagini in dissolvenza proiettano dei tracciati lineari, corrispondenti alle direttrici prospettiche dello studio dell'artista e degli spazi espositivi del museo. La sedia rovesciata al suolo sotto il tavolo, come le altre sedie presenti in mostra, evoca la figura dell’autore: la posizione capovolta rinvia alla sua precipitosa uscita di scena.

Tutto è implicito, indefinito, vacante: la tensione al fare è irrinunciabile per l’artista, che però non riesce a creare niente di concreto, di compatto, di realmente definito. 
Più che esplicita è invece la venerazione per Giorgio De Chirico di Paolini, sebbene sia lui stesso ad ammettere di non riscontrare “affinità metafisiche” nei propri lavori.

L'artista: Giulio Paolini è nato il 5 novembre 1940 a Genova e risiede a Torino. Fin dall’inizio ha accompagnato la sua ricerca artistica con riflessioni raccolte in libri curati in prima persona: da Idem, pubblicato nel 1975 da Einaudi con un’introduzione di Italo Calvino, ai recenti Quattro passi. Nel museo senza muse (Einaudi, Torino 2006), Dall’Atlante al Vuoto in ordine alfabetico (Electa, Milano 2010) e L’autore che credeva di esistere (Johan & Levi, Milano 2012). Dalla sua prima partecipazione a un’esposizione collettiva (1961) e dalla sua prima personale (1964) ha tenuto innumerevoli mostre in gallerie e musei di tutto il mondo. Tra le maggiori antologiche si ricordano quelle al Palazzo della Pilotta a Parma (1976), allo Stedelijk Museum di Amsterdam (1980), al Nouveau Musée di Villeurbanne (1984), alla Staatsgalerie di Stoccarda (1986), alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma (1988), alla Neue Galerie am Landesmuseum Joanneum di Graz (1998), alla GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino (1999), alla Fondazione Prada a Milano (2003) e al Kunstmuseum di Winterthur (2005). Ha partecipato a diverse mostre di Arte povera ed è stato invitato più volte alla Documenta di Kassel (1972, 1977, 1982, 1992) e alla Biennale di Venezia (1970, 1976, 1978, 1980, 1984, 1986, 1993, 1995, 1997, 2013). Grafico di formazione, ha sempre nutrito un particolare interesse per il campo editoriale e la pagina scritta. Numerose sono le pubblicazioni dedicate alla sua produzione artistica: dalla prima monografia di Germano Celant (Sonnabend Press, New York 1972) al volume di Francesco Poli (Lindau, Torino 1990), fino al catalogo ragionato delle opere datate dal 1960 al 1999, curato da Maddalena Disch (Skira Editore, Milano 2008).
Eleonora Vinci 


per maggiori informazioni:

MACRO
Via Nizza, 138 Roma
Orari: da martedì a domenica, ore 11.00-19.00 / sabato: ore 11.00-22.00 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Tel. +39 06 67 10 70 400



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