Ma le opere... dove sono?
Non puoi fare a meno di chiedertelo, appena entri, ma forse è proprio questo il senso della grande installazione, o meglio, delle tre installazioni che l’artista croato David Maljkovic espone negli spazi della galleria “T293”, in via G. M. Crescimbeni di Roma. Nella prima ala, troviamo ad accoglierci una grossa, antica e suggestiva cinepresa che proietta sul muro bianco un quadro luminoso in 16 mm, mentre due lunghi chiodi, ai lati di questo fatiscente disegno, sembrano bloccare il suo leggero, appena percettibile movimento, quasi a voler materializzare il concetto di tridimensionalità tramite un’immagine proveniente da un altro tempo, un’altra dimensione... forse proprio quella in cui la tridimensionalità smise di essere solo un concetto, per diventare finalmente, grazie all’avvento del cinematografo, una realtà concreta, quotidiana.
Proseguendo verso l’interno, incontriamo, nella cornice concava della galleria, un breve corridoio percorso da un raggio luminoso; questo sembra indicare una piccola struttura architettonica sospesa nel vuoto, che attira subito la nostra attenzione , ma qualcosa ci sfugge... quando, infatti, giunti alla fine del corridoio, distogliamo lo sguardo, perplessi, ecco che lo sentiamo: un leggerissimo suono, il frinire dei grilli, di cui prima, stranamente, non c’eravamo resi conto, perchè forse eravamo concentrati sulla luce, sulla cornice sovrastante, su quella leggera e precisa struttura di piani incrociati; forse, è proprio questo l’intento della seconda installazione, ossia mostrare come ciò che vediamo, o ci aspettiamo di vedere, possa interagire con i suoni che sentiamo, fino a cambiarne la percezione, o addirittura a nasconderli; un cieco avrebbe sentito un rumore assordante percorrendo lo stesso corridoio.
E siamo così arrivati alla terza ala, la terza parte, quella conclusiva, di “A long day for the form”: una grossa teca rettangolare, dai bordi smussati e scavata nel muro, è punteggiata qua e là da etichette; avvicinandoci, ci accorgiamo che ognuna di esse riporta una frase con accanto una data. Ancora un po’ perplessi, diamo allora un’occhiata al comunicato stampa della mostra, e scopriamo che non sono affatto frasi a caso , ma didascalie di opere mancanti, quelle di Vjenceslav Richter, un architetto che, guarda caso, è un connazionale del nostro artista. Improvvisamente è tutto chiaro.
Quell’apparentemente disordinata disposizione di etichette, è in realtà il risultato di un’attenta indagine sul lavoro dell’architetto croato, come a voler visualizzare il suo percorso artistico, i suoi crediti, in un enorme grafico disegnato esclusivamente dalle didascalie. Sono queste quindi le vere protagoniste del terzo lavoro , perchè, per la prima volta, in un’esposizione, diventano ben visibili, al contrario dell’opera che, stavolta, si fa da parte, diventando invisibile.
Eh, già...l’ opera non c’è, ma c’è il desiderio di materializzare la sua essenza, il suo concetto, il suo costruirsi, il suo essere allestita, e David Maljkovic lo fa attraverso una commistione di luci, suoni, forme e oggetti, in cornici che, vivendo in simbiosi con la galleria, potrebbero benissimo accogliere altre mostre, in futuro.
Tatiana Torraco
David Maljkovic
A Long Day for the Formdal
18 Settembre al 10 Novembre
Galleria "t293"
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