martedì 25 marzo 2014

INTERNI D'ARTISTA


INTERNI D'ARTISTA:
 BALLA, CAPOGROSSI, CAVALIERE, FERRAZZI, MAZZACURATI, MORELLI, PALIZZI
a cura di Massimo Mininni

dal 4 marzo al 2 giugno 2014
Galleria Nazionale d'Arte Moderna e contemporanea, Roma


Un affascinante viaggio nel mondo degli artisti, tra ricostruzione storica e immaginazione, per respirare l'atmosfera degli ateliers dalla fine dell'Ottocento a oggi.

"Interni d'Artista" si inserisce nella serie di mostre periodiche "Le storie dell'arte: Grandi Nuclei d'Arte Moderna" che rendono visibili ai visitatori alcune delle numerose opere conservate nei depositi della GNAM. L'allestimento di queste mostre si è sempre posto l'obiettivo di dare al pubblico una sensazione di accumulo riproducendo la "confusione" dei depositi adibiti alla conservazione delle opere non accessibili al pubblico. 

Con "Interni d'artista" invece la GNAM sperimenta un nuovo tipo di allestimento sfruttando una componente più teatrale e scenica. Tra le sale del museo infatti viene evocata l'atmosfera di diversi ateliers di artisti che si snodano tra la fine dell'Ottocento e il Novecento. L'esposizione fa parte di varie iniziative culturali che intendono approfondire lo studio degli ateliers romani "da Canova ai nostri giorni" secondo un calendario prestabilito, consultabile sul sito della GNAM, in collaborazione con la Direzione generale PaBAAC del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

La maggior parte delle opere esposte in "Interni d'artista" sono entrate nelle collezioni della GNAM direttamente dagli studi degli artisti, senza alcun intervento di collezionisti o altre istituzioni. I documenti originari delle acquisizioni e donazioni di queste opere si sono rivelati fondamentali per i curatori della mostra. Infatti basandosi sulle immagini e sulle fotografie dell'epoca hanno cercato di allestire dei laboratori artistici verosimili a seconda dell'epoca e dello stile del maestro. Non si tratta dunque di una seria ricomposizione filologica di studi o abitazioni degli artisti scelti, ma di una rivisitazione scenografica che vuole impressionare lo spettatore attraverso un percorso museale molto suggestivo.

Passeggiando tra le sale del museo si incontrano dunque ambienti sospesi nel tempo caratterizzati da quadri da interno, oggetti personali e strumenti da lavoro degli artisti (tavolozze, pennelli, cavalletti, bozzetti ecc). Tutti gli ambienti sono caratterizzati da elementi scenografici spesso stampati o incollati alle pareti come stancil. Finti tendaggi e balaustre riproducono ad esempio l'atmosfera romantica e l'eleganza di fine Ottocento degli studi dei pittori legati alla scuola napoletana Domenico Morelli (1826-1901) e Filippo Palizzi (1818-99). In particolare per quest'ultimo i curatori hanno riproposto l'allestimento della cosiddetta Sala Palizzi, realizzato nel 1997-98 dall'allora Soprintendente Sandra Pinto, secondo la tipologia della quadreria privata che dal Seicento prevedeva la disposizione non cronologica dei quadri su tutta la parete.

"Ingombro di quadri geniali, di costruzioni dinamiche, di svariate architetture diaboliche, fantastico di ogni magia", ecco come viene descritto dal poeta Francesco Cangiullo lo studio del futurista Giacomo Balla (1871-1958). Tra quadri figurativi e sperimentazioni futuriste sul movimento studiato con linee-forza spiraliformi che si moltiplicano, appaiono oggetti personali (come numerosi occhiali appartenuti al maestro) e alcuni manifesti delle sue prime mostre, tenutesi presso la Casa d'Arte Bragaglia, galleria gestita dai celebri fratelli noti per le loro ricerche fotografiche.

Fotografie a grandezza naturale mostrano alcuni artisti a lavoro nel proprio studio, fingendo uno sfondamento illusorio della parete reale. Un bassorilievo dello scultore Renato Marino Mazzacurati (1907-69) poggiato sulla parete integra l'immagine sullo sfondo instaurando un sottile dialogo tra l'elemento presente e l'apparato scenico. 
La nostra immaginazione riesce a contestualizzare le diverse opere all'ambiente in cui sono state concepite, avvicinandosi apparentemente a una sfera più intima di questi artisti visti da vicino, nel loro aspetto più umano. Le sagome dei maestri protagonisti della mostra, si confondono tra i visitatori reali accompagnandoci in questo percorso affascinante e coinvolgente; essi non sembrano accorgersi di noi perché intenti nel loro lavoro, solo Ferruccio Ferrazzi (1891-78) si volta a guardarci apparentemente sorpreso dalla nostra presenza dal suo orto-studio che sorgeva nell'area archeologica della Domus Aurea.

La figura di Giuseppe Capogrossi (1900-72) appare concentrata intorno al suo tavolo di lavoro su cui è disposta una delle sue opere caratterizzate dai famosi segni ricorrenti (i cosiddetti "forconi"). Alle sue spalle, sulla base delle foto scattate da Ugo Mulas nel vero studio dell'artista, troviamo una ricostruzione della finestra che illuminava l'ambiente reale. 

Realtà e finzione continuano a comunicare. Ed è forse questa una delle possibili chiavi di lettura di una mostra così "scenografica". 

Nel percorso della mostra troviamo poi un'installazione degli anni Settanta che la GNAM espone per la prima volta: "I processi" di Alik Cavaliere (1926-98), esposta nel 1972 alla Biennale di Venezia e donata nel 2001 alla GNAM. L'artista in un periodo di forte impegno politico e di crisi dei valori sociali, ha realizzato una messa in scena di forte impatto. Una contestazione al sistema e alla giustizia corrotta. Un giudice-manichino sta per giudicare un uomo e una donna rinchiusi tra le sbarre; egli potrà indossare nel momento più opportuno la toga, abiti da militare, da sacerdote, da persona anonima come se volesse sottrarsi allo stesso giudizio della sua coscienza, semplicemente cambiando abito. Mentre gli allestimenti precedentemente descritti sono frutto di una ricostruzione storico-critica fatta a posteriori, l'installazione di Cavaliere non è una riproduzione del proprio atelier ma un ambiente "allegorico" più mentale che fisico, realizzato direttamente dall'artista come riflessione della condizione umana contemporanea. La vita vista come palcoscenico teatrale (in riferimento alle opere di Shakespeare) sul quale ognuno recita un proprio ruolo adattandosi a determinate convenzioni. Dopo la carrellata di studi d'artista dunque l'opera di Cavaliere sottolinea il fatto che l'artista di ogni tempo non è confinato nel proprio spazio creativo, perché la sua attività è da contestualizzare sempre con la realtà e il proprio ambiente storico. 

Sabrina Rossi





Nessun commento:

Posta un commento