martedì 18 febbraio 2014

Renato Mambor - "Atto Unico”


Renato Mambor
"Atto Unico”

Fino al 9 marzo
MACRO
Roma


"Atto unico" al MACRO di Roma, a cura di Benedetta Carpi De Resmini, è la mostra capitolina dedicata a Renato Mambor, pittore, attore, artista a tutto tondo, nonché uno tra i più prestigiosi esponenti della Scuola di Piazza del Popolo. L’esposizione è parte del programma dedicato ai “maestri del contemporaneo” dello spazio espositivo di via Nizza, per cui è possibile considerare Renato Mambor come uno di quei protagonisti della seconda metà del XX secolo rilevanti per l’apporto sperimentale dato negli ultimi anni.

Una mostra unica in cui sono esposte trenta opere legate all’esplorazione dei linguaggi artistici, in particolare al teatro, in un periodo specifico compreso tra il 1969 e il 1989.

Nato a Roma nel 1936, inizia la sua carriera nell’ambito del cinema, recitando una piccola parte in “La dolce vita” di Fellini, ma successivamente si apre alla pittura, al teatro, in generale a un’indagine poliedrica sul linguaggio, sul rapporto tra soggetto e oggetto che è una costante di ogni suo progetto.
Renato Mambor esplora trasversalmente l’universo delle arti, con l'intento di ‘oggettivizzare’ l’io soggettivo: l’artista cerca di isolare gli stati emotivi, i processi psichici alla base dell’identità di ognuno. Cristallizzandoli, scomponendoli rispetto al contesto per poterli analizzare in modo concreto, freddo, oggettivo. 

Da questo punto di vista, il teatro come linguaggio facilita il processo di dissezione del reale, permettendo più di altri di esplorare situazioni psicologiche e meccanismi della visione. Elementi che spiccano ad esempio nei bozzetti di scenografie per spettacoli teatrali come “Lo spirito della morte”, “Il lupo della steppa” o “La linea parallela del mare”, in mostra tra gli altri al Macro. In queste opere predominano i colori accesi e si alternano due diverse concezioni dello spazio scenico: nei primi bozzetti la scenografia è pressoché lineare, sviluppata in profondità, con qualche motivo geometrico ripetuto; nei secondi si avverte più una componente onirica, non concreta, per cui i piani si sovrappongono, si inseriscono delle cornici che lasciano intravedere il mare e l’organizzazione dello spazio non è del tutto chiara. I bozzetti forniscono dunque un esempio insieme ideale e materiale dell’attività teatrale di Mambor, riconducibile al fatto che all’inizio non fu per lui importante la messa in scena di un testo o di un autore, ma l’esplorazione del teatro in sé come linguaggio.

Al di là di questi schizzi, il percorso espositivo del Macro nasce dalla consapevolezza della ricerca dell' artista, perciò l'allestimento presenta due aree principali, divise ma correlate. 

La prima sezione è legata alle “Azioni Fotografate” (1966-1970), che ritraggono momenti connessi con un particolare stato emotivo o con suggestioni dell’infanzia di Mambor. Dalle mani legate alle testa nella sabbia, le immagini si caricano di una straordinaria concretezza, pur nella loro simbolicità, grazie allo strumento della fotografia stessa che l’artista adotta in virtù della sua capacità di affrontare con freddezza situazioni cariche di significato.

Le opere successive invece mescolano tecniche e materiali differenti in enormi collages in cui i disegni, le foto, i pezzi di carta sono legati per associazione linguistica. Sempre nel tentativo di prelevare la componente soggettiva dal quadro, Renato Mambor si avvale di immagini iconiche, anche stilizzate, come i segnali stradali, che alludono al reale nella sua dimensione oggettiva.

L’opera cardine della mostra è però “Edicola Trousse” (1975), da cui l’artista trasse spunto per la fondazione della compagnia Gruppo Trousse, cui è dedicata la seconda sezione del percorso. Più che di un’opera singola, si potrebbe parlare di un’installazione, composta di una gabbia metallica e di esempi di arredamento realizzati sempre tramite l’espediente del collage. La parola ‘trousse’ viene scelta perché allude alla borsa degli attrezzi, a qualcosa che contiene, proprio come la cabina metallica, aperta su tutti i lati, riempita con una sedia, ma concepita in origine vuota per essere arredata e personalizzata.

Renato Mambor si serve di questa struttura per esplorare i meccanismi della visione: l’io deve uscire da sé e dall’idea che ha di sé per aprirsi al punto di vista degli altri; il soggetto deve osservarsi nella gabbia come farebbe qualcuno dall’esterno. Gli esempi di arredamento forniscono una prova del fatto che la cabina possa essere personalizzata in vari modi, a seconda del contenuto. Le dimensioni della struttura sono studiate per far sì che essa sia modulare, ripetibile, e che quindi la sperimentazione abbia una base concreta.

Irene Armaro

Per maggiori informazioni:
www.museomacro.org


Nessun commento:

Posta un commento