giovedì 1 marzo 2012

Diceria dell’untore







fino all’11.III.2012
Diceria dell’untore
di Gesualdo Bufalino
Roma, Teatro Eliseo

Una storia di contrasti e rovesci, fusioni e unioni, in cui la morte non incute terrore e il vero dramma sembra essere la vita, che non vuole abbandonarci, che non vogliamo abbandonare. È una “diceria” senza inizio né fine questo nastro di Möbius che è l’imperituro susseguirsi di vita e morte…

La definizione del titolo è offerta in apertura del romanzo di Gesualdo Bufalino (1920-1996), da cui Vincenzo Pirrotta ha tratto l’omonimo spettacolo. La “diceria”, suggerisce l’autore in epigrafe alla sua prima e sofferta pubblicazione, altro non è che ‘un discorso per lo più non breve, detto di viva voce; poi anche scritto e stampato… Di qualsiasi lungo dire, sia con troppo artifizio, sia con troppo poca arte… Il troppo discorrere intorno a persona o cosa…’.
L’untore è l’io narrante, impersonato da un eccellente Luigi Lo Cascio, il protagonista di una storia che non dà adito né merita banalizzazioni o riduzioni di sorta. La trama è labile, fluttuante; i personaggi evanescenti; il paesaggio sensoriale stimolante, capace di suscitare vertigini e brividi a fior di pelle.
Siamo in un sanatorio della Conca d’oro, Sicilia, ed è l’estate del 1946. Ieratiche ombre di con-dannati occupano il proprio posto all’interno di una composizione scenica non così dissimile da alcuni dei maggiori affreschi raffaelliani, che lentamente inizia ad animarsi davanti allo sguardo stupefatto degli astanti. Per ognuno di essi la condanna è la morte, quasi certa, per tbc.
L’io narrante dà vita ad una “diceria” dai tratti poetici e barocchi (sintomi della fedeltà testuale nei confronti del romanzo), una lunga riflessione in cui vita e morte non sono poi così contrapposte, un monologo qua e là interrotto dall’intervento di altre voci, come quella disturbante del Dottore, chiamato il Gran Magro (interpretato dallo stesso Vincenzo Pirrotta), e dagli altri pazienti del sanatorio, come il frate. La religione perde vigore dinanzi all’imponenza di due baluardi, allo stesso modo insondabili, come la vita e la morte sanno essere.
L’amore poi. Marta (Lucia Cammalleri) era ben presto divenuta tutto per lui, lei che era un simulacro di donna, lontana quanto una bambola senza occhi, e tuttavia l’unico essere rimasto nel disabitato universo del protagonista. L’attaccamento a questa donna, malata come lui, è un attaccamento alla vita, che per capovolgimento si rivela essere un drammatico cupio dissolvi, un abbandonarsi estaticamente all’erotismo della morte.


La rassegnazione nei confronti della malattia che le ha sottratto la vita, la grazia del volto e dei gesti come la forza fisica, è un sentimento cupo, tagliente, a tratti sprezzante, che Marta trasmette al protagonista perseverante nell’alimentare la fiaccola amorosa, deciso a godere, incurante, i pochi attimi di tregua (dalla morte, dal dolore) che gli sono ancora concessi, definiti giorni infelici e al contempo i più felici della sua vita.
Ma chi sopravviverà? L’interrogativo distrugge il presente, viene ribadito ed allontanato… Solo lo sviluppo della vicenda darà delle risposte; ma la morte, che alita continuamente accanto al protagonista, è apparentemente dimenticata, vinta; Eros e Thanatos sono avvinti in un giogo anch’esso apparentemente saldo, incorruttibile (ma è un’apparenza concreta, in un universo relativo e precario).
L’opulenza linguistica, costestualmente alle originarie atmosfere e vibrazioni del romanzo dell’autore siciliano, non sono meramente restituite dall’adattamento teatrale magistralmente compiuto da Pirrotta, ma esaltate e magnificamente animate.
Vividi sono i contrasti, che da dati esterni concreti si fanno metafora della condizione esistenziale del protagonista: atmosfere notturne e spiragli di intensa luce avvolgono gli esterni, come l’odore del fieno, dell’estate, alternati al grigio e inodore chiuso del sanatorio. Le categorie amore e morte permeano nella stessa rappresentazione della terra siciliana, trasudante energia positiva anche negli angoli più bui.
Passato, presente e sogno s’intrecciano nella mente del protagonista, circondato da una giostra di luci, musiche e scenografie, danze e canti, frutto di un’interpretazione collettiva e armonica degna di lode.
Con queste premesse, andare a teatro non è un’esperienza che coinvolge il solo intelletto, è qualcosa di molto più grande, ovvero un’esperienza sensoriale totalizzante.
vincenza accardi
spettacolo del 28 febbraio 2012

dal 28 febbraio all’11 marzo 2012
DICERIA DELL’UNTORE
di Gesualdo Bufalino
con Luigi Lo Cascio e Vincenzo Pirrotta
e con Vitalba Andrea, Giovanni Argante,
Lucia Cammalleri, Andrea Gambadoro,
Nancy Lombardo, Luca Mauceri,
Plinio Milazzo, Marcello Montalto,
Salvatore Ragusa, Alessandro Romano
scene e costumi di Giuseppina Maurizi
musiche e paesaggi sonori di Luca Mauceri
movimenti coreografici di Alessandra Luberti
luci Franco Buzzanca
musicisti Mario Gatto, Salvatore Lupo,
Michele Marsella, Giovanni Parrinello,
adattamento teatrale e regia
di VINCENZO PIRROTTA
Teatro Stabile di Catania

Teatro Eliseo
Via Nazionale, 183 – 00184 Roma
Orari: martedì, giovedì e venerdì alle ore 20:45; mercoledì e domenica alle ore 17; sabato alle ore 16:45 e 20:45
Ingresso: da 32€ a 9€
Info: tel. +39 06488721;

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