sabato 29 giugno 2013

Vittorio Messina. Percorsi d'Occidente




Percorsi d'Occidente
di
Vittorio Messina

dal 4 giugno all'8 settembre 2013
Museo delle MuraRoma


L’arte di Vittorio Messina approda nella capitale. 
La nuova mostra personale dell’artista, Percorsi d’Oriente, riprende lo spirito di una famosa installazione realizzata nel museo di Leeds nel 1993, dal titolo, “Confini d'Occidente”. 

“Percorsi d’Occidente” dell’artista Vittorio Messina stravolge ogni aspettativa e suscita perplessità al primo impatto, innanzitutto in virtù del luogo scelto per la collocazione delle tre installazioni. 
Bisogna dunque fare questa necessaria premessa: il Museo delle Mura è situato all’interno della Porta di San Sebastiano, una parte ben conservata delle Mura Aureliane romane, sperduta nel verde e formata da due grosse torri collegate da un corridoio, una delle quali è accessibile (si può godere così di una panoramica mozzafiato della capitale). 

L’allestimento propone un percorso espositivo all’interno del Museo delle Mura, che occupa l’antica Porta San Sebastiano, nell’ambito del progetto Scultura oltre le mura, curato da Ludovico Pratesi. Una location unica, dove antico e moderno si fondono, grazie alle installazioni di V. Messina, che ha seguito una linea di forte rigore verso l’arte, rispetto alle estetiche successive, più diffusamente pittoriche e tradizionali. Tra le tante porte che si aprono sulle antiche Mura Aureliane capitoline, la Porta San Sebastiano è una delle meglio conservate, il suo nome originario era Porta Appia, in onore della celebre strada che ancora oggi continua a sovrastare. La Porta San Sebastiano, aperta nella cinta delle Mura Aureliane per permettere il passaggio della via Appia, dopo aver protetto la città in epoca medievale, nell’età moderna ha avuto due momenti di gloria: la prima volta nel 1536, decorata per l’occasione da Antonio da Sangallo, accolse il corteo trionfale di Carlo V, invitato a Roma da papa Paolo III Farnese e successivamente nel 1571 quando diede invece il benvenuto al condottiero Marcantonio Colonna, dopo la sua vittoria nella Battaglia di Lepanto.

Percorsi D’Occidente, rielabora lo spazio fisico e simbolico della Porta, presentata come spazio assestante dal resto del nucleo monumentale, offrendola come unicum sui generis, un frammento di arte immutabile della città. 

Vittorio Messina presenta tre grandi installazioni che annullano la valenza storica della Porta, per trasformarla in uno spazio altro, aperto sui tetti di Roma. Le opere, anche se in modi diversi, richiamano problematiche legate a tutta l'architettura, non solo alla definizione dello spazio e alle sue componenti linguistiche. L’opera di Vittorio Messina si colloca al secondo piano, nello spazio che collega le due torri, dal quale si può osservare l’Arco di Druso. 
La prima installazione precede il corridoio ed è quasi nascosta nelle pieghe dell’edificio: un tetto simulato in cotto, attraversato da una luce rossa al neon, di cui è difficile cogliere il senso rispetto alle altre opere, se non per un tentativo di rappresentare una fase iniziale dell’edilizia, in cui i materiali moderni ancora non erano in uso. 

Le due zone che ospitano le altre due installazioni sono contigue: nella più grande osserviamo due macro-strutture, in legno e in cemento, che rendono difficoltoso il passaggio e sembrano voler incitare lo spettatore a essere attraversate; nell’altra poi, delle grosse colonne di cemento bianco troneggiano come monoliti nella sezione circolare di una delle torri Le tre opere di Vittorio Messina invitano ad un confronto con la realtà e la solidità, strutture in legno e ferro che ridefiniscono lo schema dell ambiente circostante, pilastri che rendono sensibili i possibili percorsi di uno spazio e uno sbarramento creato mediante una parete di tegole. 

 Le opere si rivolgono alla dimensione linguistica, simbolica e tecnica del costruire, lasciando al contempo un grande respiro materiale e temporale. Storia passata e presente prende nuova vita nei due torrioni e lo spazio che li congiunge. L’artista collega le due torri laterali attraverso una rielaborazione e ridefinizione dello spazio che offre una nuova percezione visiva e fisica allo spettatore. 
L’intero complesso vive una situazione di ambiguità di notevole suggestione, in quanto V. Messina stravolge l’identità dell’edificio grazie all’utilizzo di materiali da costruzione, portando il visitatore in una nuova dimensione artistica, che rimanda sia l’architettura che l’edilizia di consumo. Un elemento distintivo dell’ l'artista, che ama definire alcuni riferimenti ai modi, agli abusi e ai materiali impiegati nelle sue opere. Il contrasto tra antico e moderno, tra materiali primari e nuovi, tra rudere antico e “contemporaneo” è forte e voluto. Ma l’ossimoro che si cela dietro queste strutture non trasmette alcun messaggio particolare, appare forzato. Nella migliore delle ipotesi, si potrebbe trattare di un tentativo di polemica nei confronti dell’edilizia urbana che invade gli spazi pubblici, distorcendoli. Eppure, l’impressione è quella di una presuntuosa ridefinizione dello spazio tramite strutture a dinamica verticale, che strizzano l’occhio alla forma delle torri e che si articolano in gabbie e colonne, riecheggiando la concezione della “cella” di Messina: l’unità di base, l’archetipo dell’”archiscultura”, il luogo e il tempo condensati in una struttura assoluta. 

“In un momento che sembra caratterizzato da una tendenza alla smaterializzazione dell’opera, gli artisti invitati a Scultura oltre le Mura riportano l’attenzione alle componenti fisiche formali della scultura in rapporto all’architettura storica, per attivare dispositivi di percezione che mettono in relazione l’opera con il genius loci dell’edificio” puntualizza Ludovico Pratesi.

Nel secondo piano dell'edificio, a cui si accede grazie ad una scalinata , ci si trova improvvisamente dinanzi ad una serie di spazi interni particolari. Forma e grandezza atipici, che permettono al visitatore la possibilità di godere di una vista mozzafiato, offerta da numerose aperture dei torrioni e dei camminamenti. 

La forma e la vita della città sono il risultato finale di un processo che ha investito sia la volontà umana, che la natura. La ricerca artistica di V. Messina si è concentrata sull'idea che la forma della città è la forma stessa del tempo. L’artista interpreta e rilegge gli ambienti del museo con una serie di opere, collocate nelle due sale circolari in corrispondenza delle torri e nelle sale rettangolari che permettono il passaggio da una torre all’altra su tre livelli diversi. 

L'uso dei materiali dell'edilizia di consumo nella realizzazione delle sue installazioni, paragonabili a strutture paraarchitetturali, per lo più fuori misura, ha dato corpo a un'estetica della precarietà e dell'indeterminazione. È innegabile la continuità di “Percorsi d’Occidente rispetto a un’altra mostra come “A Village and its Surroundings” del 1999 in cui si intravedono le medesime strutture e idealità verticali, incompiute, grezze, ma difficilmente se ne coglie il senso finale. Il poter attraversare questi spazi, somiglianti a porte e finestre, come i corridoi e i camminamenti della Porta di San Sebastiano non sembra un motivo sufficiente a giustificare l’inserzione disturbante di tali opere in un contesto così semplice e affascinante. Anzi le tre installazioni rendono il tutto più confuso. Annullano e distruggono senza ricreare alcunché di nuovo che trascenda antichità e contemporaneità.
Irene Armaro


L’artista:Vittorio Messina vive e lavora a Roma dove ha compiuto gli studi all'Accademia di Belle Arti e alla Facoltà di Architettura. Fin dagli esordi con “La Muraglia Cinese”, 1978-79, nello spazio di Sant'Agata dei Goti a Roma, e con la mostra “Ombre” alla galleria La Salita, Roma, 1981, Dalla metà degli anni Ottanta Vittorio Messina ha realizzato una lunga serie di interventi in musei internazionali, dalla Moltkerei verkstatt di Colonia (1986) al Museo di Prato (1988), al Kunstverein di Kassel (1991), dal Museo di Leeds (1992) al Matildenhohe di Darmstatt (1990), dal Kunstverein di Dusseldorf (1994) al Palau de la Virreina di Barcellona (1990), dalla GNAM di Bologna (1994) alla National Galerie di Berlino (1996), alla Henry Moore Foundation, Dean Clough, Halifax (1999), dalla Cavallerizza Reale di Torino (2004) al Museo Ujadovski di Varsavia (2004), dalla GAM di Torino (2000) alla recentissima “Extra Large” del MACRO di Roma. L'artista ha inoltre collaborato in Italia e all'estero, tra gli altri, con le gallerie Shimada, Victoria Miro (Londra), Tucci Russo (Torino), Massimo Minini (Brescia), Gasart (Torino), Giacomo Guidi (Roma).


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